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OPINIONE: I Trematerra e il calcio del mulo

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Le vicissitudini che stanno accompagnando un’atipica campagna elettorale per l’elezione di presidente e consiglio regionali, portano a compimento un rituale tipico della fine di un ciclo politico.
Si assiste allo stucchevole spettacolo del calcio del mulo, con mezze tacche pronte ad attuare l’ennesima trasformazione, ammainando bandiere e issandone altre. Magari le stesse sulle quali fino al giorno prima avevano rovesciato contumelie e frasi impronunciabili.
I Trematerra, Gino prima e Gino e Michele poi, per vent’anni hanno rappresentato l’immagine del potere.
Le loro anticamere sono state popolate da nani e ballerine, pronti, con la medesima disinvoltura, a difendere il potente al suo apogeo e gettarlo nel fango nel momento di massima difficoltà.
Ad Acri di queste figure ce ne sono a bizzeffe, ognuno pensi a chi vuole. E magari pensi pure agli indubbi benefici che la vicinanza ai Trematerra, talora strisciante fino all’umiliazione, ha procurato loro. Insomma una corte dei miracoli pronta a tutto perché buona a nulla.
Le recenti batoste elettorali hanno decisamente ridimensionato il peso specifico dei Trematerra e si respira l’atmosfera del crepuscolo.
Tuttavia la vischiosità di certi riprovevoli figuri pronti a saltare sul carro di Oliverio, o chi per lui, determina un certo umano ribrezzo.
Di questo scenario probabilmente Gino e Michele Trematerra sono gli unici responsabili. Se oggi raccolgono grame messi elettorali a queste altitudini è per le promesse che il loro potere emanava, quasi d’ufficio, clamorosamente disattese.
Si pensi all’ospedale. Oggi Gino e Michele vivono il paradosso di essere accusati ad Acri di non averlo difeso abbastanza, a Castrovillari di averlo fatto fin troppo.
Il recente congresso dell’Udc di Acri si è svolto in un clima a dir poco surreale: sembrava quasi di essere alle assise di un partito reduce da un filotto di vittorie elettorali.
Con l’eccezione di qualche impercettibile balbettio, si è deciso di spostare la polvere sotto il tappeto, senza dar vita a una severa autocritica sull’impressionante emorragia di consensi elettorali.
Questo rappresenta la cartina di tornasole della qualità morale di chi in questi anni si è sistematicamente genuflesso al cospetto del capo. Si è preferito, nel momento della difficoltà, abbandonare il potente per cercarne un altro, piuttosto che dirgli in faccia che stava sbagliando.
Testa alta e schiena dritta evidentemente non rientravano tra i connotati della carta d’identità del lacchè in fila in questi anni davanti alla porta di Gino prima e di Gino e Michele poi.

Piero Cirino


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